Chi era fuggito dalle province invase, o da quelle limitrofe, si trovò spesso a dover giustificare questa sua decisione, soprattutto in risposta a chi – per volontà o per altro – aveva fatto la scelta opposta: rimanere.
Chi era fuggito l’aveva fatto per viltà? Perché non restare a difendere la propria città dall’invasore nemico? Si trattava di un tasto dolente per i profughi, tant’è che questi per la maggior parte svilupparono una propaganda che esaltava la scelta della fuga come frutto della volontà di non sottostare al dominio dell’odiato nemico, mentre dall’altra parte avanzava dubbi e sospetti su chi era rimasto: erano dei deboli o, peggio, dei collaborazionisti?
Un interesse del tutto particolare in questo contesto riveste il lungo racconto del capitano Giuseppe Francesco Matiuzzi, pubblicato il 7 luglio 1918 sulla prima pagina della “Gazzetta di Parma”, col titolo “Tragica fuga di un profugo”.
La vicenda è ambientata a Oderzo. Il profugo così introduce il fatto:
Fermamente deciso di giovare in qualche modo il mio paese, venuto il disastro di Caporetto, mi pareva viltà lasciare il luogo natio con la fuga e pensai che con la mia presenza, in mezzo ai barbari invasori, avrei potuto far opera utile ai miei concittadini che non vollero e non poterono fuggire.
Il capitano Matiuzzi con queste poche righe si poneva in contrasto con quella che era la narrazione dominante del profugato, considerando la fuga un atto vile. Ma come nei romanzi d’appendice dell’epoca, i nobili propositi del protagonista dovettero fare i conti con un nemico tanto ottuso quanto feroce:
Tento di oppormi alle loro gesta, dapprima con le parole, indi facendomi strada con spinte e pugni. […] Mi furono tutti addosso come belve inferocite, […] mi diedi alla fuga rovesciando per le scale alcuni di quelli che mi intercettavano il passo. [Raggiunto dai soldati austriaci], il maggiore si volse allora verso di me con uno sguardo truce e mi disse: “Tu essere traditore! Tu essere ufficiale italiano!”. Ed io risposi: “Già, essere ufficiale italiano e mi vanto come voi vi vantate di essere ufficiale austriaco”. “Tu essere spia! Fucilare subito!”, mi grida con scherno ed ira.
L’avventura del capitano Matiuzzi, fatta di improbabili scontri e rocambolesche fughe, non si chiuse dinanzi a un plotone d’esecuzione austriaco, ma, a seguito dell’ennesimo colpo di fortuna e coraggio, con un’evasione che lo portò – suo malgrado – dopo diverse tappe a Parma, con il rammarico di aver abbandonato tante famiglie italiane «colà, nella desolazione e nel pianto».
Illustrazione di Mattia Camisa (Associazione L’Abc)