Nelle fasi iniziali del conflitto, la categoria di “profughi di guerra”, almeno dal punto di vista della percezione pubblica e della narrazione veicolata dalla stampa, appariva tutt’altro che chiara: essa comprendeva, infatti, indistintamente sfollati, internati, fuoriusciti, irredenti, ecc., ingenerando non poche incertezze ai fini della gestione dell’assistenza, oltre che polemiche e fraintendimenti tra le stesse popolazioni ospitanti. Non a caso, un articolo pubblicato sulla “Gazzetta di Parma” il 30 settembre 1916, nell’intento di rendere più intellegibile il fenomeno del profugato, ammoniva espressamente che «sarebbe un grave errore e un’imperdonabile ingiustizia il considerare i profughi come vanno considerati i prigionieri».
Soltanto nel gennaio del 1918, l’Alto commissariato per i profughi di guerra, al fine di uniformare in tutta la Penisola l’opera di assistenza agli esuli, a partire dalla delicata questione dell’erogazione dei sussidi, ed eliminare ogni ambiguità nell’individuazione dei destinatari dei soccorsi, pubblicò una Circolare in cui chiariva chi doveva essere considerato “profugo di guerra” e ne identificava sei diverse categorie.
Circolare dell’Alto Commissariato per i profughi di guerra – 10 gennaio 1918 (Archivio storico comunale di Parma)