Il 4 novembre 1918 l’Impero austro-ungarico si arrendeva all’Italia. Cessavano ufficialmente le ostilità: la guerra era vinta, lasciando sul terreno circa 600.000 militari italiani caduti. La fine del conflitto non coincise, però, col rimpatrio dei profughi, i quali dovettero attendere ancora diversi mesi, potendo rientrare solo nel corso del 1919 o addirittura nel 1920.
Nel novembre del 1918 risultavano presenti nella provincia di Parma 8.005 profughi su un totale di 78.417 esuli censiti nell’intera Emilia-Romagna e di 632.210 distribuiti sul territorio nazionale. A questi si aggiungevano le centinaia di migliaia che tornavano dal fronte. La gestione e l’organizzazione di un tale movimento di uomini contribuirono in grossa misura a rallentare le operazioni di rimpatrio, sovraccaricando la burocrazia e le ferrovie italiane.
Al di là della logistica, pesavano le condizioni dei paesi di provenienza degli sfollati, in molti casi ridotti in macerie, per cui non agibili.
Inizialmente il rientro fu quindi consentito solo ad alcune categorie: dapprima a funzionari e amministratori locali, in seguito ad operai e artigiani necessari alla ricostruzione delle zone di guerra. Nel frattempo, montava l’impazienza dei profughi che volevano rientrare e delle comunità che li avevano accolti, sempre meno disposte a sopportarne la presenza.
Il rimpatrio poté riprendere speditamente nella primavera del 1919, anche grazie all’opera di persuasione delle istituzioni, ad esempio attraverso la concessione di sussidi straordinari per chi partiva di propria iniziativa. Nel caso parmense, il 14 aprile il prefetto scriveva che il rientro «va intensificandosi e […] che potrà in tempo relativamente breve essere compiuto». A fine mese furono chiuse le colonie in provincia e assegnato un sussidio continuativo a coloro che ancora non potevano tornare, in modo che potessero affittare locali a proprie spese. Nei mesi successivi, i documenti testimoniano la presenza di piccoli contingenti di profughi: ancora nel febbraio del 1920 nella corrispondenza tra prefetto e sindaci si trovava traccia di alcune famiglie profughe «tuttora qui residenti» e impiegate stabilmente in provincia.
Ma quale situazione trovarono i profughi che tornarono? In molte località essi si imbatterono in scenari di devastazione, come testimoniava il 1° aprile 1919 il generale Guglielmo Pecori Giraldi, governatore militare della Venezia Tridentina, in una relazione: «Questi poveretti giungono qui, invece di trovare le loro case pronte a riceverli almeno alla meno peggio, non vedono che mucchi di macerie o quattro mura senza porte e finestre che riparino dal freddo».
Una situazione che sarebbe rimasta tale per molti anni.
Manifesto affisso a Parma il 6 novembre 1918 (Archivio storico comunale di Parma)