Il fenomeno del profugato si presentò come un evento di massa (si parla di circa 600.000 esuli), in cui determinanti furono le connotazioni di classe. La prima a fuggire fu la classe benestante, seguita solo in un secondo momento dagli altri ceti sociali e dalla massa dei lavoratori.
Con il 1916 e soprattutto a seguito della disfatta di Caporetto, il profugato coinvolse l’intero fronte di guerra: dalle province invase alle terre irredente, compresi anche quei sudditi italiani e quelle comunità di origine italiana che si erano venuti a trovare sotto la dominazione degli Imperi Centrali. Tra gli sfollati vi erano anche abitanti delle regioni venete, friulane o trentine a rischio di essere travolte dal fronte di guerra, non ancora toccate dalle operazioni belliche, ma potenzialmente oggetto di bombardamenti e attacchi.
La gestione di questa massa in movimento costituì per lo Stato in guerra un rilevante problema di ordine pubblico, ma anche di tenuta delle strutture amministrative.
Per decisione del Ministero dell’Interno, nei giorni successivi alla rotta di Caporetto gli esuli vennero raccolti nei centri di Milano e Bologna e poi smistati nelle varie province, mentre a livello locale si costituirono appositi comitati e associazioni per organizzare il trasferimento dei profughi e aiutarli nel processo di inserimento nelle comunità ospitanti. Una parte di coloro che erano fuggiti dalla guerra e dai territori occupati dal nemico venne trasferita a Parma.