Da ospiti a fratelli: il racconto dei profughi attraverso la stampa

Con l’arrivo dei primi gruppi di profughi nel parmense, nel 1916, comparvero anche i primi articoli sulla stampa locale. Si trattava di resoconti scarni che informavano il lettore su numero, composizione e sistemazione di questi gruppi. In questi articoli si insisteva sulla fragilità degli sfollati, identificati il più delle volte come “ospiti” temporanei.

L’attenzione mediatica al fenomeno del profugato, in questi mesi, era piuttosto ridotta e forse anche per questo si verificarono diversi casi di fraintendimento sulla reale natura dei profughi, tant’è che la “Gazzetta di Parma” dovette ammonire che «sarebbe un grave errore e un’imperdonabile ingiustizia il considerare i profughi come vanno considerati i prigionieri».

La disfatta di Caporetto modificò in buona parte questo racconto, intensificando la retorica patriottica attorno alla condizione dei profughi, non più etichettati come semplici “ospiti”, ma promossi a “fratelli”.

Questo cambio di tono non era solo conseguenza del maggior numero di profughi giunti nel parmense, ma soprattutto una risposta alla forte emotività provocata dallo sfondamento nemico. Le poche informazioni che giungevano dal fronte mettevano in crisi la tenuta del fronte interno, già logorato da un anno e mezzo di sacrifici e ristrettezze.

A rendere ancora più plastica la disfatta, si aggiungeva la descrizione delle schiere di profughi stanchi, con i vestiti e il morale lacerati. L’idealizzazione di queste genti, esaltate nella fierezza e nel sacrificio eroico per la Patria, e l’invito ai cittadini a prestare loro ogni possibile forma di assistenza avevano lo scopo di serrare le fila attorno a un obiettivo comune, come evidenziava un manifesto pubblicato sulla stampa locale in quei giorni:

Gazzetta di Parma – 15 novembre 1917
Gazzetta di Parma – 15 novembre 1917

Il forte impatto di Caporetto sul racconto pubblico dei profughi portò, inoltre, l’attenzione mediatica a privilegiare gli sfollati provenienti dal Friuli e, in misura minore, dal Veneto, mentre i trentini, che prima di allora avevano rappresentato un’importante fetta del profugato, subirono in questo senso una progressiva emarginazione.