Dopo la rotta di Caporetto, a seguito della notizia dell’arrivo di circa un migliaio di persone dalle zone di guerra, il prefetto di Parma Adolfo Cotta chiese ai sindaci della provincia di individuare case e locali disponibili a ospitare gli esuli.
A San Lazzaro Parmense, ad esempio, la colonia istituita dall’amministrazione comunale si componeva di un solaio, una cucina nel sotterraneo e una camera al pianterreno nella villa di monsignor Tonarelli. Gli ospiti potevano lavorare durante il loro soggiorno nella colonia, ma dovevano versare una percentuale dei guadagni per il mantenimento della struttura ospitante.
Cartolina pro profughi stampata dal Comitato parmense di Preparazione civile – maggio 1918 (Archivio storico Dott. Andrea Cattabiani, Parma)
Nonostante fossero gli stessi sindaci a monitorare il funzionamento delle colonie, spesso queste versavano in condizioni non ottimali: Villa Tonarelli presentava, ad esempio, problemi di sovraffollamento, tanto che il primo cittadino chiese al prefetto di requisire una palazzina appartenente alla sorella del parroco locale, dal momento che la proprietaria per darla in locazione ai profughi aveva stabilito un fitto eccessivamente esoso.
Assai frequenti, infatti, erano i casi di speculazione ad opera di albergatori e locatori privati che si rifiutavano di affittare ai profughi stanze o immobili liberi o, per lucrare sui “forestieri”, gonfiavano spropositatamente i canoni di affitto. Essi furono prontamente denunciati dalla stampa e da una parte della classe politica locale, che non esitò a puntare il dito contro «quei tanti vampiri che cercano di approfittare delle miserie altrui».
Con i militari stanziati nei campi di riordino e i profughi concentrati nelle colonie, la vita quotidiana degli esuli e delle comunità ospitanti venne, così, “travolta” in ogni suo aspetto dalla guerra totale.